Quali domande porre a uno specialista prima di sottoporsi a un intervento

chirurgico o iniziare un trattamento farmacologico? Come comportarsi
con il proprio medico? Che cosa chiedere prima di firmare un consenso
informato?
PNLG ha organizzato un seminario sul tema: «Le giuste
domande da fare al medico su screening e terapie. Verso un consumatore
scientificamente informato» aperto alle associazioni dei pazienti e dei
consumatori, al fine di mettere a punto alcuni set di domande chiave da
porre ai medici. Al seminario, tenutosi lo scorso novembre presso
l'Istituto Superiore di Sanità (Roma), hanno partecipato in qualità di
relatori Gianfranco Domenighetti ( direttore del Servizio Sanitario del
Canton Ticino), per la parte relativa a screening e interventi
chirurgici, e Pietro Dri (Zadig) per le domande sui farmaci.
- Un rapporto paritario
- Che cosa chiedere al medico riguardo a prestazioni diagnostiche e screening
- Che cosa chiedere per un intervento chirurgico elettivo
- Che cosa chiedere sui farmaci
«Bisogna
adoperarsi perché il rapporto medico-paziente, troppo spesso di tipo
«pediatrico», diventi un rapporto paritario tra adulti». Così scriveva
qualche anno fa Domenighetti nel saggio intitolato Il mercato della
salute: ignoranza o inadeguatezza? (Domenighetti 1994).
Durante una
visita specialistica o di fronte al proprio medico di famiglia, infatti,
troppo spesso il paziente ammutolisce e rinuncia a chiedere maggiori
spiegazioni riguardo ai farmaci o agli esami prescritti e persino quando
gli si prospetta la possibilità di un intervento chirurgico.
Al
contrario, è bene abbandonare timidezze e cieca fiducia e imparare a
porre le giuste domande: i consumatori, infatti, hanno solo da perdere
quando iniziano un trattamento non necessario o senza averne compreso a
fondo benefici e rischi.
1.1 Una visione mitica E'
opinione comune che la salute dipenda esclusivamente dalla
disponibilità di servizi e dal consumo di prestazioni medico-sanitarie
(ritenuto l’unico determinante della longevità). Da una ricerca condotta
in Svizzera qualche anno fa è infatti emerso che, secondo l’opinione
della popolazione, il maggior contributo all’innalzamento della vita
media sarebbe stato dato proprio dall’incremento dei servizi sanitari
offerti.
Questa convinzione ben si inquadra all’interno di una
visione «mitica» della medicina: tra i laici (vale a dire i non medici) è
diffusa l’idea che sia sempre meglio diagnosticare una malattia prima
che essa si manifesti (secondo il motto «prevenire è meglio che curare»)
e, soprattutto, che la medicina sia una scienza esatta. Una visione,
questa, che trascura o addirittura omette nozioni fondamentali come
quella di rischio

,
di evento avverso, di incertezza e di conflitto di interesse e che
sottovaluta l’importanza della condizione socio-economica dei cittadini.
In realtà dalla ricerca emerge che a vivere più anni sarebbero le
persone appartenenti a classi socio-professionali elevate, proprio come
nel disastro del Titanic furono i passeggeri di prima e seconda classe
ad avere maggiori probabilità

di salvarsi.
La
condizione socio-economica sembra dunque essere il vero determinante
della longevità, mentre l’equità di accesso alle prestazioni e ai
servizi sanitari non garantisce pari qualità e quantità di vita.
1.2 Una scienza esatta?
«Solo
il 15 per cento degli interventi medici è basato su solide evidenze
scientifiche». Questa l’opinione, autorevole, di Richard Smith, fino a
non molto tempo fa direttore ed editore di una delle più prestigiose
riviste mediche del mondo: il British Medical Journal. In un
editoriale pubblicato oltre dieci anni fa (Smith 1992), Smith propone
ai medici una «etica dell’ignoranza», perché riescano a gestire nel modo
migliore questa abbondante parte di incertezza (il restante 85 per
cento) «in particolare durante le visite, troppo spesso divenute una
costosa e inutile “folie à deux” in cui le attese corrispondono più ai
desideri che alla realtà».
Eppure le informazioni non specialistiche
diffuse dai mass media, dagli opuscoli prodotti dai servizi sanitari e
dai bollettini di associazioni e società scientifiche promuovono
incessantemente il consumo di screening e terapie, alimentando in questo
modo da un lato le ansie riguardo alla miriade di rischi sanitari che
sarebbero costantemente in agguato e dall’altro le false speranze sulle
possibilità di cura per molte malattie diagnosticate.
1.3 La salute è essenzialmente informazione
Sui
mercati tradizionali si dà per scontato che i consumatori siano in
possesso delle informazioni necessarie per operare le proprie scelte in
modo tale da massimizzare l’ utilità e la soddisfazione.
Ciò che
distingue il mercato sanitario dagli altri mercati, tuttavia, è proprio
la cosiddetta asimmetria dell’informazione (vale a dire la mancanza di
trasparenza tra domanda e offerta sulla qualità, l’utilità, i benefici
ed i rischi delle prestazioni sanitarie) che rende il
paziente-consumatore un soggetto economicamente debole:
«L’informazione
è importante per la salute del paziente tanto quanto i medicamenti, gli
esami biomedici o gli interventi chirurgici». Ma quale informazione?
Proprio
perché gli interessi economici in gioco sono ingenti, è fondamentale
comprendere quali siano i canali della corretta informazione medica, che
deve essere:
- fondata sulle prove di efficacia
(evidence based medicine);
- completa (senza trascurare rischi, effetti avversi, incertezze); corredata da referenze scientifiche;
- libera da conflitti di interesse (economici, professionali, scientifici);
- focalizzata sulla presa di decisione;
- facilmente comprensibile e adattabile al proprio caso.
2 CHE COSA CHIEDERE AL MEDICO RIGUARDO A PRESTAZIONI DIAGNOSTICHE E SCREENING
Negli
ultimi anni si è assistito a una sempre maggiore promozione di
screening e prestazioni diagnostiche: il messaggio che viene trasmesso
ai consumatori e potenziali pazienti è che quanto prima si arriva a
diagnosticare una malattia, tanto più efficace sarà la possibilità di
curarla e più sicura sarà dunque la guarigione. Ma diagnosi precoce non è
di per sé sinonimo di guarigione.
2.1 Prima domanda
Quale malattia si può diagnosticare con il test che mi propone?
La
fiducia negli screening è tale che, secondo un recente studio
statunitense (Schwartz 2004), oltre il 70 per cento degli americani
preferirebbe sottoporsi a un total body scanner piuttosto che ricevere
un regalo di 1.000 dollari.
Meglio, tuttavia, non farsi prendere da
facili entusiasmi. Oltre alla costante promozione della medicina
predittiva, infatti, la tendenza degli ultimi anni è quella di
trasformare condizioni di vita «normali» in «patologiche»: i sani, una
volta convinti di essere ammalati, diventano così nuovi potenziali
clienti.
Nel 2002 il British Medical Journal ha operato una
minuziosa classificazione delle «non-malattie» (Internazional
classification of non-diseases) arrivando a contarne circa 200, tra cui
le più comuni sono:
- calvizie;
- sindrome del colon irritabile;
- osteoporosi
;
- menopausa;
- cellulite;
- abbassamento del livello di testosterone (dovuta all’età);
- vecchiaia;
- gravidanza;
- disfunzione erettile
;
- fobia sociale;
- sindrome da stanchezza cronica.
Prima
di sottoporsi a uno screening, dunque, è importante capire di che cosa
si sta andando in cerca: se di una malattia «vera» o di una
«non-disease.
2.2 Seconda domanda
Qual è la precisione del test? In particolare qual è la probabilità di avere risultati falsi positivi o falsi negativi? E’
convinzione comune che i risultati dei test diagnostici siano
infallibili. In realtà alcuni sono caratterizzati da un’ottima
precisione, mentre altri hanno elevate probabilità di fornire un esito

positivo quando invece non si è affetti dalla malattia (un «falso
positivo») o, al contrario, un tranquillizzante esito negativo (un
«falso negativo»), quando in realtà si è già ammalati.
Un esempio al
riguardo è lo screening (inutile) per il tumore al pancreas
(praticamente incurabile) che consiste in un semplice esame del sangue, e
che fornisce risultati falsi positivi nel 70 per cento dei casi. Quanti
sarebbero disposti a sottoporsi ugualmente al test sapendo che con
grande probabilità fornirà un esito sbagliato, quindi per niente
rassicurante, rendendo necessari altri esami per confermare la diagnosi?
Secondo una ricerca condotta in Svizzera molte meno persone:
suddividendo in due gruppi i pazienti a cui veniva proposto lo
screening, infatti, e fornendo al secondo molte più informazioni sulla
precisione dell’esame rispetto al primo gruppo, il consenso calava dal
60 per cento (nel primo gruppo che non aveva ricevuto informazioni) al
13 per cento (secondo gruppo «informato»).
Prima
ancora di porsi domande sulla precisione di uno screening, tuttavia, è
importante fare chiarezza sul suo significato: da un altro studio
(Domenighetti 2003) è infatti emerso che in Italia l’80 per cento delle
donne ritiene che lo screening mammografico eviti o riduca il rischio di
ammalarsi in futuro di tumore al seno (in Gran Bretagna il 70 per cento
e negli Stati Uniti circa il 60 per cento).
Questo dato la dice
lunga sulla qualità dell’informazione che le donne ricevono sulla
mammografia, e in particolare fornisce una misura dell’enfasi che i mass
media e gli opuscoli informativi distribuiti dalle strutture sanitarie
pongono nell’accentuare i benefici dello screening.
Un altro esempio
poco incoraggiante arriva dagli Stati Uniti, dove (secondo uno studio
pubblicato su JAMA) il 50 per cento delle donne che non hanno più il
collo dell’utero a seguito di isterectomia totale continua comunque a
sottoporsi a un inutile Pap-test
![esame che indaga possibili cambiamenti delle cellule del collo dell'utero. Il Pap test è un test di screening, il cui scopo principale é quello di individuare donne a rischio [Probabilità che l'evento accada in un intervallo di tempo prefissato.] di sviluppare un cancro del collo dell’utero](https://lh3.googleusercontent.com/blogger_img_proxy/AEn0k_tVGlnQho5IXwGLFgfdkTMSPiiOwbMzxav1zgxR0Ee9HA0S6AHjg0KeMD_moPgkLWj9VTwOURx_NZ-rIJNIc6bYz5xypt5EqgNflVifxcK65Z4D-Bi7Mg=s0-d)
(Sirovich 2004).
2.3 Terza domanda
L’esame è scientificamente provato (evidence-based)? Perché
un esame sia scientificamente provato è fondamentale che siano stati
condotti studi che provino l’efficacia diagnostica e valutino gli
effetti collaterali: la qualità di queste ricerche è molto importante e
la maggiore attendibilità viene fornita dagli studi randomizzati. La
Cochrane Library
svolge periodicamente revisioni sistematiche che analizzano i trial
condotti e valutano le evidenze scientifiche: ciò che fino all’anno
prima era ritenuto di efficacia dimostrata può risultare, in seguito a
una nuova sperimentazione, meno efficace o addirittura inutile o
viceversa.
Un’informazione aggiornata deve tenere conto di questi
costanti cambiamenti, come delle controversie scientifiche in merito a
uno screening: in Italia, per esempio, tutte le donne in gravidanza
effettuano il toxo-test per individuare la presenza o meno di anticorpi
al toxoplasma (che può causare gravi danni al feto). L’esame è spesato
dal Servizio sanitario nazionale e può essere ripetuto ogni mese
gratuitamente in caso di esito negativo.
Non accade lo stesso,
tuttavia, in paesi come gli Stati Uniti e l’Inghilterra, che ritengono
lo screening inutile e in certi casi dannoso (per il rischio di falsi
positivi e di esami invasivi correlati).
2.4 Quarta domanda
Qual è l’incidenza della malattia nella popolazione?
L’incidenza
di una malattia è il numero di persone colpite ogni centomila abitanti
in un anno. Questo dato è importante per capire se si tratta di una
malattia rara o comune.
È interessante notare il risultato di una
ricerca pubblicata qualche anno fa sul New England Journal of Medicine,
che mostrava come in persone decedute per incidenti stradali o altri
traumi la prevalenza autoptica di alcuni tumori superi di gran lunga la
prevalenza clinica: il tumore al seno in donne da 40 a 50 anni raggiunge
il 40 per cento; quello alla prostata in uomini dai 50 ai 70 anni il 45
per cento (Black 1993).
A questo proposito ha sottolineato
Domenighetti nel corso del seminario, «vi è una buona fetta di cancri in
situ che rimane silente e non avrà nessuna rilevanza clinica: non è
difficile immaginare cosa comporterebbe, anche solo in termini di
inutili ansia e angoscia, la disponibilità di una tecnica in grado di
identificare ciascuna cellula cancerosa».
2.5 Quinta domanda
La malattia che intende diagnosticare potrà poi essere guarita? E con quali probabilità di successo?
Dallo
studio di JAMA già citato (Schwartz 2004), emerge inoltre che il 65 per
cento degli americani sarebbe disposto a sottoporsi a un test di
diagnosi precoce anche per un tumore per il quale non esiste nessuna
cura.
In questo caso la diagnosi comporterebbe solo un peggioramento della qualità della vita senza alcuna speranza di cura.
Nel
caso dello screening per il tumore alla prostata, per esempio, da uno
studio pubblicato sugli Archives of Internal Medicine, è emerso che
informando i pazienti del fatto che non si ha alcuna riduzione della
mortalità a seguito dell’esame (quindi lo screening è inutile) (Wolf
1996) si ha un brusco calo (dell’80 per cento) nella disponibilità a
effettuarlo.
2.6 Sesta domanda
Esistono altri effetti negativi o non desiderati?
La
maggior parte delle informazione fornite ai consumatori enfatizza i
benefici degli screening e non menziona i rischi, gli eventi
indesiderati, le incertezze e le controversie di tipo scientifico.
Secondo
una revisione della Cochrane Library (Olsen 2001), lo screening
mammografico sottopone centinaia di donne ad ansia, falsi allarmi e
false riassicurazioni, nonché biopsie chirurgiche inutili. Inoltre la
stragrande maggioranza di donne a cui il tumore viene correttamente
diagnosticato con tre o quattro anni di anticipo non riceve alcun
beneficio dalla diagnosi precoce (ma si può immaginare come peggiori la
qualità della vita).
La diffusione verso la società civile di
messaggi rassicuranti sui benefici e l’opportunità di sottoporsi agli
screening permette di ottenere:
- un alto tasso di
partecipazione (e di copertura dei costi) della popolazione eleggibile
(obiettivo principale e indicatore di successo per i proponenti dello
screening);
- un pubblico riconoscimento dell’attenzione verso il
benessere sanitario dei cittadini (obiettivo dei politici e degli
amministratori);
- un aumento dei casi eleggibili da includere negli studi randomizzati (obiettivo dei ricercatori e dell’industria).
3 CHE COSA CHIEDERE PER UN INTERVENTO CHIRURGICO ELETTIVO
Molte
delle considerazioni fatte in merito agli screening possono essere
estese anche al caso degli interventi chirurgici elettivi (vale a dire
quelli non praticati d’urgenza).
Nel caso in cui si prospetti
l’eventualità di un intervento chirurgico è opportuno richiedere un
«secondo parere», in modo da acquisire un supplemento di informazione e
poter dare un consenso più informato.
3.1 Prima domanda
Perché
questo intervento chirurgico è necessario? Che cosa mi capiterebbe, e
con quale probabilità, se questa operazione non fosse eseguita?
Nella
comunità scientifica non vi è accordo sulla effettiva necessità di
diversi interventi chirurgici elettivi: un esempio è l’utilizzo della
chirurgia per alleviare il mal di schiena, oggi molto in voga ma anche
criticata per scarsa efficacia.
Diversi pazienti con ernia al disco
si sottopongono infatti alla fusione vertebrale senza trarne alcun
giovamento, ma affrontando i rischi collegati a un intervento
chirurgico.
3.2 Seconda domanda
Esistono uno o più trattamenti alternativi? Se sì, quali sono i rischi e i benefici in rapporto all’operazione proposta?
La
diagnosi, la cura e la pratica utilizzata per risolvere o gestire un
problema possono variare in funzione del medico consultato: nel caso del
mal di schiena, per esempio, un consulto da un chirurgo fornirà con più
probabilità un’indicazione per un intervento rispetto a una visita
ortopedica.
In quest’ottica si comprende facilmente l’importanza di
un secondo parere, che non nasce dalla sfiducia nelle capacità dello
specialista che si ha di fronte, ma dall’incertezza intrinseca della
medicina, che genera «insicurezza diagnostica e terapeutica».
Di
ogni alternativa prospettata è importante comprendere i benefici e i
rischi associati: questo aspetto è fondamentale per poter dare un
consenso davvero informato.
3.3 Terza domanda
Al mio posto lei si sarebbe sottoposto al medesimo trattamento? L’avrebbe proposto ai suoi familiari? Se no, per quali motivi?
Da
uno studio sul ricorso alle pratiche sanitarie dei medici e dei loro
familiari (una popolazione campione prilegiata perché informata in
maniera più adeguata rispetto al resto dei pazienti), è emerso che
esistono notevoli differenze rispetto al resto della popolazione: nel
caso, per esempio, della tonsillectomia in età pediatrica (un altro
intervento molto discusso) la prevalenza nel campione considerato era
del 18 per cento, contro il 33 per cento di interventi tra i bambini non
figli di medici.
Ciò dimostra che quando si ha accesso a
un’informazione più critica e aggiornata il ricorso a molte pratiche
cliniche discusse diminuisce notevolmente.
In un opuscolo prodotto
dal Servizio sanitario del Canton Ticino e distribuito a tutte le
famiglie si proponeva di chiedere un secondo parere medico per i
seguenti interventi chirurgici:
- l’asportazione di calcoli biliari (colecistectomia
);
- l’asportazione di emorroidi (emorroidectomia);
- l’asportazione chirurgica dell’utero (isterectomia) quando l’indicazione non è una malattia tumorale;
- l’operazione dell’ernia inguinale;
- l’asportazione delle tonsille (tonsillectomia);
- il raschiamento dell’utero;
- l’operazione della prostata quando l’indicazione non è una malattia tumorale;
- l’asportazine del menisco;
- l’operazione alla cataratta;
- l’asportazione delle vene varicose (varici);
- l’operazione dell’ernia discale quando non esistono paralisi agli arti inferiori e/o alla vescica e all’intestino.
4 CHE COSA CHIEDERE SUI FARMACI
L’informazione
diffusa dai mass media riguardo ai farmaci dovrebbe evitare qualsiasi
tono «miracolistico» e non trascurare effetti collaterali e
controindicazioni. Purtroppo ciò accade di rado ed è una pratica diffusa
tra i giornalisti quella di accettare inviti a convegni in località
turistiche e a spese delle aziende farmaceutiche per assistere alla
presentazione di un nuovo farmaco e scrivere un articolo al riguardo.
Per
sottolineare l’importanza di un’informazione corretta e completa, nel
2004 Riccardo Renzi (Corriere Salute), Roberto Satolli (Zadig) e
Giampaolo Velo (WHO Reference Centre for Education and Communication in
International Drug Monitorino) hanno curato la stesura di un documento
che rappresenta una sorta di patto etico tra medici e giornali (
leggi il testo completo sul sito di ScienzaEsperienza).
Anche
gran parte dell’informazione che arriva ai medici proviene
dall’industria farmaceutica. Per questo è opportuno chiedere spiegazioni
al proprio medico se cambia un trattamento farmaceutico da anni in
commercio (per cui esistono maggiori prove di efficacia e i cui effetti
collaterali sono stati maggiormente studiati) e con il quale «ci si
trovava bene», per un farmaco appena immesso sul mercato: potrebbe aver
ricevuto la visita di un rappresentante dell’industria farmaceutica.
4.1 Prima domanda
A che cosa serve questo farmaco e come funziona? Qual è il nome del principio attivo? Esiste un farmaco generico analogo?
Conoscere
il principio di funzionamento di un farmaco può essere utile per
chiarire alcuni aspetti della propria malattia e per convincersi
dell’efficacia. In commercio esistono quasi novemila specialità
medicinali, e oltre 5.000 a denominazione generica (i principi attivi,
tuttavia, sono poco più di 1.300): i farmaci generici non sono meno
efficaci di quelli «griffati» e costano meno.
4.2 Seconda domanda
Quali effetti collaterali può provocare questo farmaco? Quali sono le controindicazioni? Ogni
prodotto farmaceutico ha effetti collaterali più o meno pericolosi per
la salute (basta dare un’occhiata al foglietto illustrativo per
rendersene conto), eppure questi aspetti raramente vengono sottolineati.
I recenti scandali farmaceutici (come l’aumento di arresti cardiaci
provocati dal rofecoxib o il rischio suicidiario legato al consumo di
antidepressivi

)
sono derivati proprio dalla mancata diffusione da parte delle aziende
farmaceutiche al pubblico e ai medici delle informazioni note da tempo
sui pericolosi effetti.
4.3 Terza domanda
Esistono alternative non farmacologiche o farmaci che provocano minori effetti collaterali per curare questo disturbo?
Le
strategie di marketing delle case farmaceutiche spingono verso la
«medicalizzazione farmacologia» di situazioni che non sono, o lo sono in
modo controverso, considerate patologiche. Il messaggio che arriva ai
consumatori attraverso i mass media è che esista una pillola per ogni
malanno, tuttavia molti disturbi possono trarre giovamento anche da
pratiche non farmacologiche (per esempio attività fisica o una dieta
particolare)
È bene che i consumatori conservino un sano scetticismo
quando leggono un articolo su un farmaco e in particolare se questo
descrive una nuova «sindrome» e la sua miracolosa cura appena scoperta.
Bibliografia
- Black WC et al. Advances in diagnostic imaging and overestimations of disease prevalence
and the benefits of therapy. N Engl J Med 1993; 328: 1237.
- Domenighetti G. Il mercato della salute: ignoranza o adeguatezza? CIC Edizioni Internazionali, 1994
- Domenighetti G et al. Women’s perception of the benefits of mammography screening: population
-based survey in four countries. Int J Epidemiol 2003; 32: 816.
- Olsen et al. Cochrane Syst Review 2001.
- Smith R. The ethics of ignorance. J Med Ethics 1992; 18: 117.
- Schwartz LM et al. Enthusiasm for cancer screening in the United States. JAMA 2004; 291: 71.
- Sirovich BE et al. Cervical cancer screening among women without a cervix. JAMA 2004; 291: 2990.
- Wolf. Arch Inter Med 1996.
Simona Calmi/Partecipa Salute