mercoledì 12 dicembre 2012

CHIUSURA PER FESTIVITA' NATALIZIE




Cari amici vi informiamo che saremo chiusi durante il periodo natalizio
dal 24 dicembre 2012 all’8 gennaio 2013 compresi.

Sinceri Auguri di Buon Natale e Felice Anno Nuovo da parte di tutto lo staff dell’Associazione Endometriosi.


 

 

 

 

 

martedì 4 dicembre 2012

Marcatori tumorali. Quali, quanti, quando?

Dal punto di vista dei cittadini e dei pazienti uno dei principali problemi nel campo dei marcatori è la comunicazione delle informazioni. La ricerca di base in questo settore è particolarmente vivace e porta frequentemente a risultati molto promettenti, ma il percorso di validazione e di collaudo è purtroppo molto lungo e laborioso. Per far capire la dimensione del problema possiamo dire che per ogni 100 nuove molecole identificate dai ricercatori come potenzialmente utili, solo 2 vengono utilizzate nella pratica clinica.
Nonostante questa problematica sia ben conosciuta, si assiste spesso a comportamenti comunicativi imprudenti, sia da parte media della carta stampata e della televisione sia, a volte, anche da parte di componenti della comunità scientifica. La comunicazione dei risultati della ricerca è frequentemente ottimistica, a volte trionfalistica e quasi mai bilanciata da studi di conferma. Si riportano nella box alcuni titoli comparsi su importanti giornali, che rappresentano solo un limitato esempio di quanto giornalmente tutti possono leggere sui quotidiani o ascoltare dagli schermi televisivi.
  • «Cancro scoperto meccanismo che dà l'avvio alla metastasi» - Corriere della Sera, 26 ottobre 2006.
  • «Cancro del polmone. Nuovo test salva vita» - La Repubblica, 1 marzo 2005;
  • «Ecco il kit per scoprire i tumori. Rivoluzione nella diagnosi precoce» - La Repubblica 21 ottobre 2003;
  • «USA svolta nella ricerca contro il cancro. Scoperto il gene che provoca metastasi» - Corriere della Sera, 4 agosto 2000;
  • «Test della saliva per scoprire il cancro. Così si potranno evitare le biopsia (tra sei mesi kit in commercio)» - Corriere della Sera, 17 marzo 2000.
In realtà, nessuno dei «test salva vita» annunciati sembra aver finora portato al beneficio clinico sperato, ma è facile immaginare l'impatto emotivo che tale modalità di comunicazione ha sui pazienti affetti da tumore e sulle persone ad essi vicine.
I marcatori oggi sono strettamente associati alle nuove terapie antitumorali e, per numerose ragioni, non sempre scientifiche, il trionfalismo comunicativo tende a prevalere. Inoltre le grandi attese, conseguenti al fatto che il cancro è ancora percepito come una malattia poco curabile, sono la base per una altissima emotività alle notizie sui risultati della ricerca in questo specifico settore. Per tale ragione è importante raccomandare di verificare sempre con il proprio curante qualsiasi notizia proveniente dai mass-media, per quanto autorevole possa apparire la fonte.
Per capire qual è il ruolo dei marcatori tumorali nella pratica clinica è utile avere la risposta alle seguenti domande:
  • cosa sono i marcatori tumorali?
  • di quali marcatori tumorali disponiamo?
  • a cosa servono i marcatori in oncologia?
  • come si misurano i marcatori tumorali?
Al termine dell’articolo sono poi riportate sette quesiti utili da fare e da farsi sui marcatori tumorali.
COSA SONO I MARCATORI TUMORALI?
La definizione data fin dall'inizio di marcatori tumorali ha portato medici e pazienti ad attribuire a questi esami un valore diagnostico e per molti anni, e ancora oggi in molte circostanze, i marcatori vengono misurati in persone sane con l'intenzione di verificare se siano o meno affette da un tumore. Tale approccio è profondamente sbagliato in quanto assume una specificità tumorale che i marcatori in realtà non posseggono. A oggi possiamo affermare che non esiste un marcatore presente esclusivamente in presenza di tumore maligno, ma esistono semplicemente biomarcatori utilizzati in oncologia.
Quando oltre trent'anni fa furono identificate e misurate nel sangue le prime molecole associate alla presenza di tumori maligni, si generò la speranza di avere a disposizione dei segnali misurabili precocemente e molto specifici. Oggi in realtà sappiamo che quelle molecole, che chiamiamo marcatori tumorali non vengono prodotte solo da tessuti tumorali, ma anche da tessuti normali o colpiti da malattie benigne. La differenza è solo quantitativa, nel senso che le cellule tumorali producono e rilasciano quantità maggiori di marcatore rispetto a quelle normali.
In generale ogni sostanza, misurabile nel sangue o in altri liquidi corporei, correlata alla presenza di un tumore può essere definita "marcatore tumorale". Le concentrazioni dei marcatori tumorali nel sangue dipendono da numerosi fattori:
  • dalla capacità delle cellule tumorali di produrre e rilasciare il marcatore;
  • dalla produzione di marcatore da parte di organi o tessuti normali o affetti da patologie benigne;
  • dalla presenza nel sangue di sostanze interferenti con il sistema di misurazione;
  • dalla diluizione del marcatore nei liquidi corporei;
  • dalla capacità del fegato e del rene di metabolizzare ed eliminare il marcatore.
Quindi, i marcatori cosiddetti «tumorali» danno informazioni che sono la somma di numerose variabili fra le quali può essere compreso anche il tumore.
Il fatto che i marcatori siano prodotti anche da tessuti normali comporta che valori aumentati si possono trovare nel sangue in circostanze diverse dalla presenza di un tumore. In particolare, le condizioni non tumorali responsabili di un aumento dei marcatori possono essere raggruppate in tre categorie:
  • condizioni di normalità e abitudini di vita: eventi cosiddetti fisiologici;
  • malattie benigne;
  • interventi diagnostici e terapeutici.
Tali condizioni sono veramente numerose e alcune di esse dovrebbero essere conosciute anche dalla persona che si sottopone ad un dosaggio di marcatori per evitare di riconoscere valori falsamente elevati come prova certa della presenza di un tumore maligno. Valori falsamente positivi possono provocare ansia e preoccupazioni inutili e, a volte, l'esecuzione di altri esami di approfondimento, del tutto non necessari. Alcuni esempi di condizioni comuni che aumentano i marcatori:
  • Mestruazioni: le mestruazioni possono causare un aumento del marcatore usato nel tumore dell'ovaio (CA125), pur in assenza di qualsiasi malattia. Nel caso venga richiesto questo esame la donna dovrà eseguirlo lontano dal ciclo mestruale.
  • attività sessuale: l'attività sessuale del maschio può provocare variazioni nei livelli del marcatore utilizzato nel tumore della prostata (PSA). Se un uomo deve eseguire il dosaggio di PSA è opportuno quindi che si astenga dall'attività sessuale per almeno 48 ore prima del prelievo di sangue.
  • Malattie benigne: in generale, le malattie benigne di un organo provocano un aumento degli stessi marcatori che vengono prodotti anche in presenza di tumori maligni di quello stesso organo:
    - i livelli di PSA nel sangue sono elevati nel caso di ipertrofia prostatica, di infiammazione della prostata (prostatite), o anche nel caso di ristagno di urina nella vescica.
    - l’endometriosi, una malattia ginecologica benigna, provoca incrementi del CA125 (marcatore usato nel tumore dell’ovaio).
    - le malattie benigne del pancreas o delle vie biliari causano incrementi del marcatore che si riscontra elevato anche nel caso del carcinoma del pancreas (CA19.9). Bisogna ricordare a questo proposito che, in presenza di ittero di qualsiasi natura, anche quello dovuto a calcoli biliari, il CA19.9 nel sangue può raggiungere valori molto elevati, compatibili con quelli che si possono riscontrare in un paziente con cancro del pancreas avanzato.
  • Farmaci e interventi: numerosi interventi diagnostici o terapeutici possono indurre variazioni dei marcatori; per esempio:
    un intervento chirurgico all’addome, può provocare un significativo incremento dei livelli di CA125 nel sangue, che si protrae per oltre un mese dall'intervento stesso. Il dosaggio del CA125 in tale circostanza risulterebbe elevato, come in presenza di un tumore dell'ovaio. L'uso di un farmaco per stimolare i globuli bianchi durante la chemioterapia (G-CSF) può causare, nelle donne operate per carcinoma della mammella, un aumento della CA15.3 che nulla ha a che fare con una possibile progressione del tumore.
DI QUALI MARCATORI TUMORALI DISPONIAMO?
I marcatori associati a tumori maligni sono veramente numerosi: alcuni sono già utilizzabili nella pratica clinica, altri sono ancora in fase di studio in vista di un possibile utilizzo, altri ancora sono in una fase preliminare di ricerca.
I marcatori possono essere utilizzati come test di diagnosi prendere decisioni cliniche solo se rispondono a tre requisiti particolari:
  • devono essere misurabili con metodi standardizzati che garantiscano risultati affidabili e riproducibili e devono essere sottoposti a programmi di controllo di qualità che ne valutino l’affidabilità nel tempo;
  • i marcatori devono essere espressamente associati a un determinato processo biologico e al comportamento clinico che ne deriva;
  • devono essere utili: la determinazione dei marcatori deve essere determinante per esiti clinici importanti per il paziente come, ad esempio, la riduzione della mortalità, l’intervallo libero da malattia, la qualità della vita, ecc.
Tra le centinaia di molecole potenzialmente utilizzabili come biomarcatori in oncologia, quelle che rispondono ai requisiti appena indicati sono poco più di una decina, identificati tra gli anni ‘70 e ‘90 e valutati in numerosi studi clinici.
A COSA SERVONO I MARCATORI IN ONCOLOGIA?
La determinazione di biomarcatori in oncologia ha tre obiettivi principali:
  • verificare la presenza o l'estensione di un tumore, prima, durante e dopo terapia;
  • valutare la aggressività biologica del tumore;
  • valutare la probabilità di risposta del tumore a determinati tipi di trattamento.
Marcatori per verificare la presenza o l’estensione di un tumore
Questi marcatori si misurano nel sangue e, in genere, questi esami vengono richiesti numerose volte nel corso del monitoraggio o del trattamento della malattia.
Marcatori per valutare la aggressività biologica del tumore
E’ esperienza comune che tumori apparentemente uguali per organo e stadio possano avere decorsi clinici molto diversi in persone differenti: tumori maligni, anche se sembrano simili, possono infatti presentare caratteristiche biomolecolari molto diverse. Oggi si tende a considerare ogni tumore come una realtà a parte e si cerca di stabilire quanto essa è aggressiva al fine di instaurare la terapia più appropriata per ciascun paziente. Per valutare la aggressività biologica della malattia vengono misurati i «marcatori prognostici»: molecole che ci danno informazioni sull'andamento della malattia in assenza o indipendentemente da qualsiasi trattamento. Tali marcatori vengono misurati una tantum nel tessuto del tumore e danno informazioni utili per scegliere l’intensità terapeutica da applicare nel trattamento del tumore primitivo.
Marcatori per valutare la probabilità di risposta del tumore a determinati tipi di trattamento
I marcatori utilizzati per valutare la probabilità di risposta alle terapie vengono definiti «marcatori predittivi» e sono associati alla probabilità che il tumore risponda o meno ad uno specifico trattamento. La presenza o l'assenza del marcatore predittivo ha significato solo in vista del trattamento specifico. Anche i marcatori predittivi, analogamente ai marcatori prognostici, vengono misurati una tantum nel tessuto tumorale.
La differenza tra marcatori prognostici e marcatori predittivi non è netta: non esiste infatti un marcatore esclusivamente prognostico e spesso i marcatori predittivi sono in parte associati alla aggressività del tumore.
I marcatori predittivi hanno oggi un ruolo sempre più importante nelle nuove terapie con farmaci che interferiscono con precisi meccanismi biologici. A tutt'oggi sono stati identificati solo pochi marcatori che vengono utilizzati in ambito clinico per la somministrazione di farmaci. La determinazione di tale marcatore deve essere eseguita con metodiche standardizzate e l'interpretazione deve seguire procedure specifiche, in accordo con apposite linee guida. I più noti marcatori predittivi sono i recettori per estrogeni e progesterone, che vengono misurati nel tessuto del tumore della mammella per selezionare le pazienti che possono essere sottoposte a terapia ormonale.
Ci si augura che in breve vengano identificati marcatori idonei alla somministrazione di farmaci mirati ad altri importanti meccanismi di regolazione cellulare o tissutale.
COME SI MISURANO I MARCATORI TUMORALI?
I marcatori vengono misurati con metodi immunometrici, cioè la quantità di marcatore presente nel liquido biologico (ad esempio nel sangue) viene misurata con un anticorpo specifico legato ad un sistema di rilevazione (enzimatico, a fluorescenza, ecc). Il legame anticorpo-marcatore determina una reazione la cui intensità è direttamente proporzionale alla quantità del marcatore presente. L’intensità di reazione viene misurata e confrontata con una curva di calibrazione in cui le concentrazioni del marcatore sono note. Talvolta può succedere che il marcatore presente nel liquido biologico non sia esattamente uguale a quello usato per costruire la curva di calibrazione poiché i marcatori sono molecole complesse, spesso costituiti da famiglie di molecole simili e, quindi, è complesso, se non impossibile, disporre di un marcatore di riferimento (calibratore) esattamente uguale alle sostanze che vogliamo misurare. La conseguenza di tale, per quanto limitata, approssimazione del sistema di misura è che prodotti commerciali diversi utilizzati per misurare uno stesso marcatore possono produrre risultati in parte diversi.
SETTE QUESITI UTILI DA FARE E DA FARSI SUI MARCATORI TUMORALI
  • In generale, i marcatori possono essere usati per scoprire un tumore maligno in una persona senza sintomi?
    A oggi non esistono marcatori specifici per un tumore ma la differenza tra una persona affetta da un tumore e una persona sana è solo quantitativa. I valori di un marcatore nel sangue sono in relazione con le dimensioni del tumore e, in presenza di un tumore iniziale, i livelli dei marcatori non sono molto diversi da quelli che si trovano nei soggetti normali. Per tale ragione i marcatori di cui oggi disponiamo non sono utili per fare una diagnosi precoce e, a maggior ragione, i marcatori non possono e non devono essere utilizzati per lo screening della malattia tumorale nella popolazione generale asintomatica.
  • I marcatori possono essere usati per scoprire un tumore maligno in una persona con sintomi?
    I marcatori non sono specifici per un tumore, ma sono prodotti dai tessuti normali e vengono rilasciati nel sangue in maggior quantità sia in presenza di tumore maligno che di malattie benigne. Naturalmente, ciascuno organo produrrà lo stesso marcatore sia nel caso di malattie benigne sia di malattie tumorali: tipico è il caso della prostata con il PSA e delle malattie della sfera ginecologica (ad esempio tumefazioni ovariche) con il CA125. Pertanto, i marcatori non possono aiutare a fare una distinzione tra malattie benigne e tumore in un paziente con dei sintomi, ma possono comunque essere richiesti all'interno di un programma diagnostico. In questo caso sia il medico sia il paziente devono essere consapevoli che un elevato valore di biomarcatore non ha di per sé valore diagnostico.
  • Quanti marcatori devono essere usati?
    Per ogni tipo di tumore di solito non sono necessari più di uno o due marcatori. Per esempio:
    - nel caso del tumore della mammella, è sufficiente eseguire il CA15.3;
    - nel caso del tumore del colon basta misurare il CEA;
    -nelle persone con tumore alla prostata il PSA è l'unico marcatore di utilità clinica.
  • Perché non fare più marcatori?
    Generalmente in medicina si presume che fare di più voglia dire fare meglio e spesso si immagina che si facciano meno esami di quanti necessario solo per questione di costi. In realtà, nel caso dei marcatori, eseguire un numero maggiore di esami comporta un rischio elevato di avere falsi positivi, cioè avere un esisto positivo pur non avendo il tumore. Per tale ragione il numero dei marcatori da eseguire in ogni tumore deve essere limitato, come indicato dalle linee guida disponibili, per esempio:
    nel caso del tumore della mammella, è sufficiente eseguire il CA15.3;
    nel caso del tumore del colon basta misurare il CEA;
    nelle persone con tumore alla prostata il PSA è l'unico marcatore di utilità clinica.
  • Ogni quanto si deve eseguire il dosaggio di un marcatore durante il monitoraggio del trattamento?
    Per rispondere a questa domanda si deve distinguere tra due situazioni:
    1. Monitoraggio del paziente senza segni di malattia, dopo terapia chirurgica ed eventuale radioterapia o chemioterapia:
    - nel tumore della mammella, tumore dell'ovaio, tumore del polmone: esiste ancora molta incertezza sulla reale utilità clinica dei marcatori;
    - nel tumore della prostata: l'uso dei marcatori permette di riconoscere precocemente la ripresa della malattia in un'alta percentuale di casi; tuttavia non esistono prove certe che l'uso del marcatore abbia una relazione importante sulla riduzione della mortalità nel cancro del colon-retto: esistono prove che dimostrano come l'uso dei marcatori durante il monitoraggio abbia una relazione importante sulla riduzione della mortalità per la malattia. Solo in quest'ultima circostanza è stato possibile determinare l’intervallo di tempo che deve passare tra un dosaggio e quello successivo: in questo caso il biomarcatore (CEA) deve essere misurato ogni 3-4 mesi. Un intervallo di tempo tra i dosaggi del marcatore più prolungato ne ridurrebbe il beneficio clinico, fino ad annullarlo.
    2. Monitoraggio della risposta alla terapia nelle persone con un malattia avanzata. I marcatori in questi casi, sono utili in quanto le loro variazioni quantitative sono in relazione con la risposta clinica e, in molti casi, la precedono. Va ricordato che l'aumento dei marcatori è un indicatore piuttosto preciso della progressione della malattia, mentre la riduzione del valore del marcatore non è strettamente correlato con la risposta alla terapia. Ciò significa che nel monitoraggio della terapia in caso di malattia in stadio avanzato un aumento dei valori del marcatore è un affidabile segnale di inefficacia della terapia, quindi un attento uso del marcatore può essere vantaggioso per modificare tempestivamente la terapia. Per avere una informazione affidabile dal marcatore è però indispensabile che il prelievo venga sempre eseguito prima della somministrazione di ogni nuovo ciclo di farmaci antitumorali.
  • Cosa vuol dire aumento o diminuzione del valore di un marcatore?
    In generale quando si osserva il risultato di un esame di laboratorio, si tende a considerarlo come un numero molto preciso, quasi assoluto, in realtà, ogni sistema di misura è caratterizzato da una sua variabilità e quindi ogni risultato dovrebbe essere considerato come un intervallo fra due numeri, spesso molto vicini.
    Nel caso dei marcatori, le caratteristiche dei metodi di dosaggio portano ad una variabilità nei risultati leggermente superiore rispetto ad altri metodi di laboratorio. Per fare un esempio i risultati degli esami possono variare di:
    - 5-7%: misurando più volte nello stesso giorno uno stesso campione di sangue;
    - 10-15%: dosando lo stesso siero in giorni diversi sempre nello stesso laboratorio;
    - 25-35%: se lo stesso siero viene invece misurato in laboratori diversi e con metodi diversi.
    Questi dati sulla variabilità fanno capire come sia difficile stabilire il valore clinico dei risultati di un marcatore che si modificano nel tempo. Numerosi studi sono in corso per trovare le formule matematiche più adatte a correggere le variazioni riscontrate tra prelievi successivi in base alla variabilità dei metodi di dosaggio.
    In generale, sul piano pratico si deve ricordare che una variazione, per avere qualche probabilità di essere clinicamente significativa, deve essere superiore almeno al 50% rispetto al valore precedente. Inoltre, per essere credibile, una variazione, anche di entità superiore al 50%, deve essere comunque sempre confermata da un prelievo successivo. Pertanto, la persona che esegue un dosaggio di marcatori tumorali deve essere consapevole che piccole variazioni possono non avere alcun significato.
  • Posso eseguire il dosaggio di un marcatore in qualsiasi laboratorio?
    Per alcuni marcatori, come ad esempio il PSA totale o il CA15.3, le differenze fra metodi diversi sono relativamente modeste e, comunque, scarsamente influenti sulle decisioni cliniche.
    Per altri marcatori invece, quali il CA19.9 o il PSA libero, le differenze nei risultati ottenuti con metodi diversi possono essere molto importanti e non trascurabili per le decisioni cliniche da prendere. Per tale ragione si dovrebbe raccomandare a coloro che devono eseguire periodicamente il dosaggio di un marcatore, di utilizzare sempre il medesimo laboratorio o di avvisare il medico curante qualora, per ragioni diverse, i prelievi vengano eseguiti in laboratori diversi. Per la stessa ragione è necessario che il laboratorio informi i propri clienti su cambiamenti del metodo per il dosaggio di un dato marcatore.
  • Cosa deve sapere il paziente a proposito dei marcatori?
    Come è ben indicato dalle linee guida per i pazienti dall'Associazione Americana di Oncologia Clinica (ASCO), la/il paziente ha diritto di fare al medico domande specifiche sul marcatore. Queste linee guida raccomandano di fare domande precise sul metodo usato [«Che metodo è stato usato per misurare il marcatore?»] facendo ben capire quanto sia oggi considerato importante verificare l’affidabilità dei metodi utilizzati per la determinazione del marcatore [«Il laboratorio è certificato ed opera in accordo con le linee guida per la determinazione del marcatore?»].
    La persona che necessita oggi di tali test deve sapere che il risultato di un esame può essere privo di significato se non è accompagnato dalla precisa definizione dei metodi utilizzati e delle specifiche di qualità seguite dal laboratorio.
    Il paziente deve anche essere informato che qualora si rendano disponibili nuovi biomarcatori necessari per la somministrazione di nuovi agenti antitumorali, può accedere, tramite richiesta del proprio medico o dello specialista, al materiale biologico (vetrini, frammenti tissutali paraffina, eccetera) che è stato prelevato al momento dell'intervento chirurgico per il tumore primitivo e che obbligatoriamente deve essere conservato per un tempo indefinito.

Bibliografia
  • Hayes DF et al. Tumor marker utility grading system: A framework to evaluate clinical utility of tumor markers. J Natl Cancer Inst 1996; 88:1456.
  • Sturgeon C. Practice guidelines for tumor marker use in the clinic. Clin Chem 2002; 48:1151.
  • Gion M. Guida all'uso clinico dei biomarcatori in oncologia. Milano: Biomedia, 2002.
  • McShane LM et al for the Statistic Subcommittee of the NCI-EORTC Working Group on Cancer Diagnostics REporting recommendations for tumor MARKer prognostic studies (REMARK). J Natl Cancer Inst 2005: 97(16): 1180.
  • Harris L et al. American Society of Clinical Oncology 2007 Update of Recommendations for the Use of Tumor Markers in Breast Cancer. J Clin Oncol 2007; 25: 5287. 
  •  
    Massimo Gion
    Centro Regionale Indicatori Biochimici di Tumore, Consorzio IOV, Regione Veneto
    ULSS12 Veneziana

mercoledì 28 novembre 2012

INTOLLERANZE ALIMENTARI

Gonfiore addominale da intolleranze alimentari

Che le si dia il nome di colite, di “intestino irritabile” o semplicemente di “pancia gonfia”, il problema è sempre lo stesso: spesso all’improvviso, anche dopo aver mangiato pochissimo (magari anche cibi “indiscutibilmente sani”), si avverte un fastidiosissimo e “apparentemente inspiegabile” gonfiore addominale. Non si tratta solamente di un disturbo estetico, per “la maglia che tira”, ma di un vero e proprio disagio, legato a gonfiore e tensione addominale costanti che ci “appesantiscono” la giornata e non ci danno tregua; spesso sono associati anche crampi addominali, stitichezza o diarrea, flatulenza, meteorismo, ecc. C’è chi dà tutta la colpa allo stress o al mangiare di fretta, un panino e via, magari in piedi, senza prendersi le dovute pause…sicuramente questi fattori sono anch’essi concausa del disturbo, ma c’è di più. Immediato è il legame con l’alimentazione, causa diretta, senza ombra di dubbio, di questo disturbo; ma se è “legittimo” sentirsi gonfi e pesanti dopo un’abbuffata, non sembra invece giustificato il gonfiore che insorge dopo un pasto a base di cibi considerati “sani”, facenti parte dell’alimentazione di tutti i giorni. Le ragioni di questa inspiegabile “intolleranza” ai cibi quotidiani è insita in uno stile di vita, soprattutto alimentare, che ci porta, un po’ alla volta, alla perdita dell’efficienza dei complessi meccanismi del nostro intestino.
Condizione indispensabile per garantire la salute dell’intero organismo è il mantenimento dell’equilibrio della flora batterica intestinale (eubiosi). Ci sono più di 400 specie batteriche che vivono nel tratto gastrointestinale, costituendo un vero e proprio ecosistema, che protegge la mucosa intestinale facilitando i processi digestivi e assimilativi.  Purtroppo tale equilibrio è messo costantemente a dura prova a causa delle nostre abitudini alimentari e di stile di vita errati. Fin dalla nascita, infatti, il mancato o insufficiente allattamento al seno, la precoce introduzione del latte vaccino o errori durante lo svezzamento e, in seguito, nel corso della vita, l’abuso di farmaci (antibiotici soprattutto), gli inquinanti alimentari (metalli pesanti, additivi, conservanti e pesticidi), lo stress, le infezioni, ecc., alterano la composizione della flora batterica fisiologica. Quando l'equilibrio tra i vari gruppi e sottogruppi batterici viene a mancare (disbiosi), si creano le condizioni per la proliferazione di germi patogeni (clostridi, salmonelle, coli, candida, ecc.), il cui metabolismo, a carattere fermentativo (degli zuccheri) o putrefattivo (delle proteine), causa la formazione di quantità elevate di gas intestinali. Ne è un esempio tipico la candida, un fungo abitante abituale del nostro intestino che, in caso di disbiosi, ne approfitta per proliferare in modo anomalo, determinando una marcata fermentazione degli zuccheri, di cui si nutre, con il risultato di innescare un’anomala ed esagerata produzione di gas. La flora batterica intestinale adempie anche l’importante compito di coadiuvare i processi digestivi delle sostanze alimentari ingerite. Produce infatti enzimi aventi la specifica funzione di aiutare, completare e “rifinire” il lavoro digestivo svolto dal pancreas. In condizioni di disbiosi accade che i cibi che arrivano all’intestino non vengono adeguatamente demoliti nei loro nutrienti di base (acidi grassi, aminoacidi, monosaccaridi, ecc.), restando sotto forma di macromolecole indigerite; queste non possono essere assorbite dai microvilli intestinali e vanno incontro a fermentazioni o putrefazioni. Un esempio importante è il caso del lattosio; l’intolleranza al lattosio, estremamente diffusa, è determinata, oltre che da una scarsa produzione dell’enzima idoneo (lattasi) da parte del pancreas (l’enzima dovrebbe essere fisiologicamente presente nel lattante e poi calare gradatamente con l’età), anche dall’inefficiente sintesi di enzimi da parte della stessa microflora intestinale alterata (in disbiosi). Il lattosio, così indigerito, fermenta dando luogo a gonfiore e meteorismo.
Come se ciò non bastasse, quando la flora batterica benefica scarseggia, ne approfittano i microrganismi patogeni che, tra le altre cose, arrivano anche ad aggredire la mucosa intestinale. Venendo meno la moltitudine di batteri benefici, si riduce la loro azione protettiva: la mucosa intestinale è più esposta e diventa suscettibile all’aggressione delle sostanze tossiche e dei microrganismi patogeni (la stessa candida, accrescendosi, sviluppa delle ramificazioni con le quali si ancora alla mucosa causando delle vere e proprie perforazioni). In queste condizioni si creano dei veri e propri varchi tra le cellule e la mucosa diventa permeabile alle macromolecole alimentari indigerite e alle sostanze di scarto che altrimenti avrebbe respinto: l’intestino, da efficiente barriera selettiva, è ormai un “colabrodo”. Alimenti indigeriti e tossine fanno così il loro indesiderato ingresso nell’organismo: è questo il modo in cui si sviluppano le intolleranze alimentari.
La condizione per cui si inneschi un’intolleranza alimentare è perciò la perdita di integrità della mucosa intestinale e il venir meno delle sue funzioni digestive e protettive. In questa situazione, oltre a crearsi un ambiente malsano, con produzione di grandi quantità di gas, accade che i cibi indigeriti, invece di essere eliminati come scorie con le feci, riescono a superare la barriera mucosa, perché non integra. Si allerta perciò il sistema immunitario sottostante, che identifica queste macromolecole alimentari come estranee, nemiche, e attiva contro di esse una risposta difensiva. Si liberano di conseguenza grandi quantità di mediatori chimici e di cellule immunitarie (linfociti) che innescano una risposta di tipo infiammatorio. L’aggressione da macromolecole alimentari non viene generalmente considerata come un pericolo immediato da parte del sistema immunitario, quindi la reazione è lenta e nelle prime fasi silente (senza sintomi evidenti) e dose-dipendente, nel senso che per attivare i linfociti ad una risposta infiammatoria, l’attacco deve essere massiccio e prolungato. Questo spiega il motivo per cui le intolleranze alimentari si sviluppano verso gli alimenti assunti più frequentemente e che fino a quel momento “non hanno mai dato problemi”, almeno in apparenza. Tale stato infiammatorio cronico, leggero ma costante, dell’intestino, rimane silente fino a quando l’organismo non supera un certo limite, oltre il quale il sintomo si manifesta. Ad un certo punto, però, l’intestino infiammato diventa ipersensibile e non tollera più nulla: “ogni scusa è buona” per produrre gas, flatulenza, meteorismo….
È evidente che l’utilizzo di farmaci anti-meteorismo, né tantomeno l’impiego di “disinfettanti intestinali”, come proposto in genere dall’approccio convenzionale, non può rappresentare la soluzione reale della problematica.

Fonte: Prodeco P.

venerdì 9 novembre 2012

Infertilità e vita di coppia

Le conseguenze silenziose dell’infertilità

Se è vero che d’infertilità si parla poco, è altrettanto vero che dell’impatto di questo fenomeno sulla sessualità di coppia se ne parla ancora meno.
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Nel momento in cui una coppia decide di sposarsi o di iniziare una convivenza, ha in modo più o meno consapevole l’idea che un giorno dalla  loro unione si possa generare una nuova vita. Quando questo non succede, la diagnosi d’infertilità può indurre gli aspiranti genitori a interrogarsi sul valore e sul significato del loro legame.
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Ha senso continuare a stare insieme quando sul futuro aleggia l’ipotesi di una vita senza figli?
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Senza entrare nel merito del significato e delle conseguenze emotive che una domanda di questo tipo può avere sulla coppia, mi sembra opportuno evidenziare che lo shock iniziale causato da una diagnosi d’infertilità provoca  inevitabilmente reazioni emotive negative. Spesso i coniugi si sforzano di tenere a bada questi pensieri, di nasconderli all’altro quasi come se si dovessero vergognare per il solo fatto di aver generato un tale pensiero o una tale emozione…Per quanto può sembrare banale bisogna sottolineare che non c’è nulla di cui vergognarsi, le emozioni negative non solo esistono ma vanno affrontate ed elaborate, per evitare di  compromettere la qualità della comunicazione tra i membri della coppia già messi a dura prova da una diagnosi infelice.
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L’infertilità dunque oltre a causare profonde sofferenze psicologiche individuali e disagi nella comunicazione può avere delle ripercussioni sulla sessualità di coppia.

L’attività sessuale che fino a quel momento era un piacere, smette di essere un’attività ludica nata dal desiderio per diventare attività finalizzata alla procreazione. L’iniziativa sessuale di un partner può essere vissuta dall’altro come finalizzata al solo progetto genitoriale andando così a minare la qualità del rapporto.

In circostanze simili il successo dell’atto sessuale è dato dalla capacità di concepimento e non dal livello d’intimità e sintonia raggiunta. La sessualità perde la sua valenza affettiva per trasformarsi in mero meccanicismo: il desiderio sessuale lascia il posto ai ritmi della fertilità biologica; l’attività sessuale diviene quindi scandita da ritmi, orari e modalità ben precise.

Spesso capita che uno dei due partner non sia disponibile all’attività sessuale pianificata per varie ragioni e ciò irrita profondamente l’altro andando a minare un equilibrio già precario all’interno della coppia.

L’infertilità è una condizione che mette a dura prova. Ci vuole complicità, pazienza comprensione e soprattutto una continua comunicazione che permetta alla coppia di ricordarsi reciprocamente che la vera forza è nel loro legame…
Dott. ssa Tiziana Fiore
https://granellidipsicologia.wordpress.com/

 

giovedì 8 novembre 2012

Scoperti geni legati a endometriosi

Aperta strada a nuovi trattamenti per disturbo ginecologico

(ANSA) - SYDNEY, 29 OTT - Scienziati australiani hanno scoperto nuovi geni legati all'endometriosi, aprendo la strada a nuovi trattamenti per un disturbo ginecologico spesso doloroso, di cui non si conosce cura. Lo studio guidato dal prof. Dale Nyholt dell'Istituto di ricerca medica del Queensland e condotto su 5640 pazienti di endometriosi australiane, giapponesi ed europee, ha identificato quattro nuove aree genetiche legate alla condizione: varianti di Dna piu' comuni nelle pazienti che nella popolazione generale.

 

giovedì 18 ottobre 2012

Convegno AE FVG: endometriosi che dolore!!!!


Forse non tutti sanno che da tempo stiamo collaborando con l’Associazione Arianne di Bologna e con l'Associazione Endometriosi del Friuli Venezia Giulia.

A tale proposito desideriamo invitarvi a partecipare numerosi al convegno organizzato da AE FVG dal titolo: “ENDOMETRIOSI: CHE DOLORE!!!!

Si terrà sabato 10 novembre 2012
dalle ore 08:30 alle ore 13:30
c/o Centro Congressi
Best Western Hotel Là di Moret
Viale Tricesimo, 276
UDINE

L’INGRESSO E’ LIBERO

Per informazioni: endometriosifvg@yahoo.it

                        www.endometriosifvg.it

 

lunedì 15 ottobre 2012

Endometriosi: al via trial farmaco contro sintomi

(AGI) - New York, 11 ott. 2012

Un farmaco potrebbe ridurre il dolore e gli altri sintomi legati all'endometriosi, uno dei disturbi piu' comuni nelle donne e la prima causa di isterectomia nelle donne tra i 18 e i 35 anni. Lo affermano gli esperti dell'universita' di San Diego, che sta per coordinare un grande trial nazionale sulla terapia. Tra il 5 e il 10% delle donne in eta' fertile soffre della malattia, che consiste nella crescita di cellule dell'utero al di fuori dell'organo, nelle ovaie, nell'intestino e in altre parti del corpo, che provocano dolori molto forti soprattutto durante le mestruazioni. Attualmente non c'e' una terapia per la malattia, che viene trattata con dei farmaci che abbassano il livello degli estrogeni ma che hanno grandi effetti collaterali. Il Violet Petal Study testera' il farmaco Elagolix, progettato per eliminare i sintomi principali, per un massimo di due anni: "Spesso le donne devono prendere un secondo farmaco per gli effetti collaterali causati da quello per l'endometriosi - spiega Sanjay Agarwal, uno dei coordinatori - questa potrebbe essere una soluzione piu' delicata".

sabato 13 ottobre 2012

Spaghetti con calamari e broccoletti

Portata: primo
Porzioni4 persone
Minuti di Preparazione50 minuti di preparazione
Minuti di Cottura25 minuti di cottura
DifficoltàFacile
Kilocalorie430 Kilocalorie

Senza latticini
INGREDIENTI PER 4 PERSONE
- 300 g di spaghetti
- 600 g di calamaretti
- 500 g di broccoletti
- 20 semi di finocchio
- 1 cucchiaino di timo
- olio di oliva extra vergine
- sale
- pepe rosa
.
PREPARAZIONE
1 Dividete i ciuffi dalle sacche dei calamaretti, aprite queste ultime e tagliatele per il lungo in sottili striscioline in modo da ottenere una sorta di spaghetti. Separate in 4 parti i ciuffetti.
2 Dividete in cimette i broccoletti e lessateli per 10 minuti circa. Scolateli con una schiumarola e conservate da parte 4 cimette per guarnire alla fine.
3 Macinate o pestate i semi di finocchio riducendoli in polvere, poi mescolateli a un cucchiaio d’olio. Frullate i broccoletti insieme a quest’olio, un pizzico di sale e un po’ dell’acqua di cottura degli ortaggi fino a ottenere una salsa.
4 Scottate i calamari per non più di un minuto nell’acqua di cottura dei broccoletti riportata a ebollizione, scolateli e lasciateli intiepidire. Poi conditeli con un cucchiaio d’olio già mescolato al timo e a una macinata di pepe rosa. Copriteli e fateli marinare per 30 minuti.
5 Mettete a lessare gli spaghetti al dente, nel frattempo saltate in una padella a calore vivace i calamari con la loro marinata per un minuto. Aggiungete gli spaghetti scolati non troppo asciutti e distribuiteli nei piatti. Posate al centro la salsa di broccoletti e decorate con le 4 cimette.
Ricetta di Giuseppe Capano

martedì 31 luglio 2012

Chiusura estiva




Vi informiamo che rimarremo
chiusi per ferie da venerdì 3 agosto. 
Le nostre attività riprenderanno a partire
da lunedì 3 settembre.

Buone vacanze a tutti!!

Invalidità Inps, ora rientra anche l'endometriosi


Novità nella tabella per l'invalidità civile dell'Inps: nella nuova versione sono rientrate anche l'endometriosi (malattia cronica originata da una presenza anomala dell'endometrio, tessuto che riveste l'utero) e alcune malattie rare, considerate come patologie «moderne».
L'elenco è stato aggiornato per la prima volta dopo 20 anni, secondo quanto hanno comunicato il coordinatore generale e medico legale dell'Inps, Massimo Piccioni.
Attualmente, inoltre, il ministero della Salute sta lavorando per una revisione dei criteri per il riconoscimento delle invalidità ma il decreto non è ancora stato definito.



«SEMPLIFICARE LA BUROCRAZIA ONCOLOGICA». La ragione della nuova tabella per l'invalidità, ha spiegato Piccioni, è semplificare l'iter burocratico che devono affrontare i malati di tumori in particolare «merita un ripensamento, una ridefinizione».
Nella conferenza stampa di presentazione dell'iniziativa, in pubblicazione dal 27 luglio, è stato spiegato che per il superamento della burocrazia oncologica all'Inps vengono attribuiti ruoli di sussidiarietà accertativa.
«Si tratta», ha detto Piccioni, «di una battaglia di civiltà, ma soprattutto di legalità» visto che in tutte le Regioni i tempi di risposta per l'accertamento dell'invalidità civile richiesta dai malati oncologici sono disattesi. 
«Nessuna Regione ad oggi», ha sottolineato, «ha chiesto all'Inps di convenzionarsi per avere un accertamento unico e definitivo».
LINEE GUIDA COMUNI PER TUTTE LE REGIONI. E l'Istituto, ha aggiunto, «si è impegnato a uniformare i diritti attraverso l'emanazione di linee guida che prevedono ad esempio che ai minori oncologici venga sempre riconosciuto l'handicap grave, mentre ai minori con neoplasie venga riconosciuta l'indennità di accompagnamento».
Tra i vantaggi «il limite alla discrezionalità dei medici perché impongono un iter procedurale unico su tutto il territorio».
In attesa delle decisioni del ministro Balduzzi, i medici dell'Inps a quali spetta il giudizio definitivo devono attenersi alle nuove linee guida dell'Istituto.

Fonte: Lettera43

giovedì 5 luglio 2012

Senatrice Laura Bianconi: ENDOMETRIOSI ENTRERA’ NELL’ELENCO DELLE MALATTIE INVALIDANTI

Finalmente ecco una fantastica notizia che ravviva in noi la speranza di veder riconosciuti quei diritti che per anni ci sono stati negati:

Agenzia Parlamentare, Roma 4 luglio 2012
E’ stata accolta la proposta della Senatrice Laura Bianconi.
L’endometriosi verrà inserita nelle nuove tabelle indicative delle percentuali di invalidità per le menomazioni e le malattie invalidanti.
Questo importante traguardo è stato comunicato dal presidente dell’Inps nel corso dell’indagine conoscitiva che si è svolta presso la Commissione Igiene e Sanità del Senato sulle procedure di accertamento e delle minorazioni civili ai fini del riconoscimento dell’invalidità civile e dell’indennità di accompagnamento.

Sono anni che la nostra Associazione si batte al fianco delle Istituzioni e ad altre realtà,  per riuscire a conseguire risultati importanti a favore delle donne affette da endometriosi. 

Un grazie di cuore alla Senatrice Laura Bianconi per l’impegno e la dedizione che ha posto a favore della nostra causa.

Abbiamo avuto il piacere di apprezzare la Sua determinazione, nel corso dello svolgimento dei lavori per le donne affette da endometriosi. Inoltre abbiamo constatato la Sua sensibilità di donna,  durante il  Convegno da noi organizzato tenutosi a Salsomaggiore Terme (PR) il 12 marzo 2009 dal titolo Endometriosi: la malattia che non ha voce”. Durante tale evento la Senatrice Laura Bianconi aveva aggiornato i presenti riguardo allo svolgimento dei lavori che si stavano facendo in Senato per ottenere il riconoscimento della patologia a livello Istituzionale, impegnandosi attivamente per la Sua riuscita.

La ringraziamo per aver mantenuto fede alla promessa.

Sonia Fiorini
Presidente

giovedì 31 maggio 2012

Endometriosi, la prevenzione comincia a tavola con gli OMEGA3

Arriva dal mondo accademico l'ennesima conferma che un'alimentazione sana ed equilibrata costituisce il miglior investimento per la salute
E oramai assodato che buona parte delle patologie sono generate dagli squilibri alimentari dei regimi dietetici a cui ci sottoponiamo e dagli errati stili di vita.
ENDOMETRIOSI E OMEGA3

L'ultimo caso in ordine di tempo riguarda l'endometriosi e la relazione esistente tra alimentazione e insorgenza di questa patologia.
Ne soffrono, solo in Italia, circa 3 milioni di donne. Si tratta di una patologia complessa e ad andamento cronico, caratterizzata da presenza anomala di tessuto all'interno dell'utero (può interessare i distretti più prossimi all'utero: ovaie, tube, peritoneo, vagina, intestino) che può condurre a infertilità. Ad oggi non si è giunti ad individuare una cura definitiva, ma è certamente possibile agire in termini di prevenzione. 


Gli studiosi della Harvard Medical School di Boston hanno pubblicato i risultati del proprio studio sulle pagine di Human Reproduction. 


La ricerca ha coinvolto 70.000 donne osservate nell'arco di 12 anni durante i quali i ricercatori, guidati da Stacey Missmer, hanno esaminato il collegamento tra la dieta abituale delle donne e l’incidenza dell’endometriosi.


I risultati hanno evidenziato che per le donne che assumevano la più elevata quantità di acidi grassi omega-3, il rischio di endometriosi si riduceva del 22% rispetto alle altre donne.
Non solo, lo studio ha anche osservato come un eccessivo consumo di grassi trans (comunemente definiti “grassi cattivi”) contribuisse ad aumentare del 48% il rischio di endometriosi.
I ricercatori della HMS non sono al momento in grado di determinare l’esatta correlazione tra i due fattori, ma nel frattempo si mostrano soddisfatti per i risultati ottenuti (anche se la correlazione tra omega3 ed riduzione dell'endometriosi è da tempo nota e in particolare attribuibile alla relazione tra acidi grassi omega 3 e metabolismo delle prostaglandine PGE1).
Fonte: Il Sentiero della Natura

venerdì 18 maggio 2012

Endometriosi: terapie complementari

Fonte: Dr. Perugini Billi   

L’endometriosi è stata descritta per la prima volta da Daniel Shroen nel 1620 in un libercolo dal titolo Disputatio Inauguralis Medica de Ulceribus Ulceri. Egli parla di infiammazioni nello stomaco, vescica, intestini e di larghi tralci fibrosi che formano adesioni tra i visceri.



Cos’è In parole povere, l’endometriosi è una dislocazione extrauterina del tessuto ghiandolare (endometrio). Questo tessuto può “attaccarsi” alle ovaie, alle tube di falloppio, all’intestino o ad altri organi. Come l’endometrio dell’utero, anche questi foci sono influenzati dalle variazioni ormonali, per cui ad ogni ciclo si congestionano di sangue, proliferano e si sfaldano, causando dolore, infiammazione e poi aderenze tra i tessuti.
L’endometriosi può interessare la donna già alla prima mestruazione e accompagnarla fino alla menopausa, sebbene dopo i 40 anni la crescita del tessuto endometriale extrauterino sembra sia più lenta. Può svilupparsi indipendentemente dal fatto di aver avuto o meno una gravidanza. Infine, questo problema affligge almeno il 10% delle donne in età riproduttiva e il 30-50% delle donne sterili o che hanno difficoltà a concepire.
Le cause Sono sconosciute, sebbene esistano varie teorie: alcune cellule endometriali possono essere presenti dalla nascita; le cellule potrebbero migrare verso l’area pelvica anche durante le mestruazioni, tramite il flusso di sangue o durante operazioni chirurgiche come il parto cesareo; un sistema immunitario difettoso non solo non riescirebbe ad eliminare le cellule che si trovano fuori posto, ma addirittura ne stimolerebbe la crescita; l’endometriosi sarebbe una malattia del sistema endocrino e l’estrogeno sarebbe il fattore principale di proliferazione dei foci.
I sintomi
Quelli più comuni sono: dismenorrea, dispareunia (dolore al rapporto sessuale), dolore pelvico, lombalgia, frequente stimolo ad urinare, colon irritabile, dolore a livello del retto e sanguinamenti, gonfiore addominale e stitichezza.

Terapie convenzionali
“La terapia della endometriosi pelvica deve tendere alla completa eliminazione di tutti i focolai presenti, possibilmente conservando il più possibile le strutture genitali interne, cioè l’utero, le salpingi o tube, le ovaie e liberando la pelvi dalle frequenti aderenze che la malattia fa formare tra gli organi della pelvi femminile. La Laparoscopia è il “Gold Standard” come terapia della endometriosi, è la unica terapia chirurgica che assicura precisione ripetibilità di esecuzione, minore trauma e dolore alla donna per la cura di questa malattia . Essa può essere praticata più volte per permettere di estirpare in maniera completa la endometriosi. La rimozione dell’utero non necessariamente fa guarire la donna ma sicuramente la rende infertile, ed è sconsigliata. La terapia medica si avvale di alcuni farmaci che bloccano gli ormoni ovarici, questi farmaci sono chiamati agonisti del GNRH, in pratica bloccano la produzione da parte dell’Ipotalamo (ghiandola situata nel cervello) di questa sostanza, chiamata GNRH, che serve a stimolare il funzionamento dell’Ipofisi che a sua volta permette alle ovaie di funzionare. Questi farmaci inducono una menopausa temporanea che presenta tutti i sintomi di una menopausa vera e propria: Secchezza vaginale, perdita di calcio, vampate, ecc. Attualmente si possono associare piccole dosi di terapia con ormoni femminili per ridurre gli effetti di tipo menopausa, tali terapie non curano la malattia. La terapia dura sei mesi o oltre a seconda della entità della malattia (1).”

Terapie complementari o non convenzionali
Le pazienti affette da endometriosi dovrebbero liberamente valutare anche le proposte terapeutiche delle medicine non convenzionali, che possono essere integrate o meno con quelle convenzionali.

Ayurveda - Secondo la medicina ayurvedica, la gran parte delle malattie croniche compaiono quando le tossine (ama) si accumulano e poi iniziano ad alterare l’equilibrio dei tessuti. L’accumulo di tossine ostruisce i canali di circolazione ed eliminazione nelle zone colpite. Questi blocchi impediscono il nutrimento grossolano e sottile dei tessuti e allo stesso tempo l’eliminazione dei prodotti di scarto. Il risultato dell’accumulo di tossine è la riduzione delle difese e la rottura dei ritmi biologici.

Nel caso dell’endometriosi, le tossine si accumulano nel tessuto riproduttivo, irritandolo e stimolando una lenta produzione di tessuto in eccesso. Più precisamente, secondo alcuni Autori, si tratterebbe principalmente di un problema associato al dosha Kapha, considerata la presenza di crescita anomala di tessuto cellulare. Tuttavia anche gli altri due dosha non sarebbero del tutto estranei, perché l’endometriosi comprende aspetti come:

- il sangue, gli ormoni e l’ infiammazione che sono sotto l’influsso di Pitta;
- il movimento verso il basso del mestruo, la circolazione del sangue e, fondamentale in questa malattia, la dislocazione extrauterina del tessuto endometriale, che sono sotto l’influsso di Vata.

Pertanto, l’endometriosi, sarebbe una condizione Sannipatika, cioè una malattia che coinvolge tutti e tre i dosha, sebbene in proporzioni diverse a seconda dei soggetti.

L’intervento terapeutico è diretto ai sintomi associati all’endometriosi, ma soprattutto alla eliminazione delle tossine (ama) e al ristabilimento dell’equilibrio dei dosha, attraverso preparati erboristici, dieta e terapie fisiche. In questo modo, si ottengono davvero degli ottimi risultati nel controllo dei sintomi e addirittura nella regressione del fenomeno.

Per quanto riguarda i preparati fitoterapici, ne esistono alcuni che si sono dimostrati efficaci, nell’esperienza medica pratica, nel ridurre il dolore, l’emorragie, l’infiammazione e l’irregolarità del mestruo. Questi preparati sono soprattutto a base di piante come Shatavari (
Asparagus racemosus Willd.), Lodhra (Symplocos racemosa Roxb.), Ashok (Saraca indica L.) e Nagkesara (Musea ferrea L.).

Farmaci omeopatizzati - L’approccio ayurvedico si combina in modo eccellente all’omeopatia. Particolarmente utili si dimostrano i farmaci in fiale della medicina omotossicologica tedesca e anche quelli antroposofici, a base di organoterapici (Endometrium, Uterus, ecc.), piante medicinali (Apis, Pulsatilla, Lachesis, Lilium, ecc.) e minerali (Argentum, Quartz, Mercurius, ecc.), che possono essere efficacemente iniettati per via mesoterapica.
Vischio (Viscum album) - Uno studio giapponese che ha utilizzato il vischio in forma iniettabile su donne affette da endometriosi molto dolorosa e che avevano subito un intervento di isterectomia o di escissione dei foci in laparoscopia ha portato ad un significativo miglioramento della sintomatologia (2).
Omega-3 - L’azione antinfimamatoria dell’omega-3 acido eicosapentainoico (EPA) è stato studiato in un modello animale di endometriosi. I ricercatori sono giunti alla conclusione che questo omega-3 potrebbe essere utilizzato vantaggiosamente nella terapia di questa patologia (3).

Epigallocatechine gallate - Lo sviluppo di nuovi vasi (angiogensi) gioca un ruolo essenziale nella crescita e sopravvivenza dei foci endometriali. Le epigallocatechine gallate (EGCG) derivate dal tè verde hanno un potente effetto antiangiogenetico. In un modello animale di endometriosi l’effetto antiagiogenetico delle EGCG si è dimostrato efficace nel ridurre la proliferazione dei foci patologici (4).

Flavonoidi - Alcuni flavonoidi hanno la funzione di regolare la circolazione e il tono venoso. La sommistrazione di un estratto di frazione flavonoica purificata micronizzata (500mg x due volte al dì) a donne affette da endometriosi ha portato ad una significativa riduzione dei dolori pelvici, già dopo il terzo mese (5).

Integratori - E’ stato visto che le donne con endometriosi hanno un’assunzione ridotta di antiossidanti, segnatamente le vitamine C, E e i minerali Zinco e Selenio. Nelle forme più gravi di endometriosi si è anche evidenziata una correlazione tra bassi livelli di antiossidanti e alto grado di lipoperossidazione nel plasma e nel liquido peritoneale (6). In un altro studio, l’integrazione alimentare di vitamina C  ed E è stata in grado di ridurre i marcatori dello stress ossidativo nelle donne con endometriosi (7). Lo stress ossidativo sembra sia anche alla base della sterilità, uno dei problemi che si accompagna all’endometriosi (8). Anche la vitamina B6 e l’olio di enottera potrebbero essere indicati per controllare soprattutto i sintomi premestruali (9).
Inibitori naturali dell’aromatasi - L’aromatasi P450 (P450arom) è l’enzima chiave per la sintesi degli estrogeni, ormoni fondamentali nello sviluppo dell’endometriosi. Nell’endometrio normale non si rileva nessuna attività di questo enzima, quindi questo tessuto non produce localmente estrogeno (10). Il tessuto endometriosico al contrario presenta alti livelli di P450arom.
Gli inibitori dell’aromatasi sono molto diffusi nel mondo vegetale e appartengono soprattutto al gruppo dei flavonoidi: quercitina (es. nella mela), apigenina (es. nel prezzemolo, sedano, carciofo, camomilla e basilico), narigenina (es. negli agrumi), resveratrolo (es. nella buccia e semi dell’uva), oleuropeina (es. foglie di olivo) e risina (es. polline, miele, passiflora). Da questi sono stati spesso ricavati degli integratori dove il principio attivo opportunamente associato ad altre sostanze naturali viene reso molto più disponibile per il nostro organismo. Anche l’indolo-3-carbinolo presente soprattutto nelle crocifere (broccoli, cavoli, verze, ecc.) ha un’ottima e sperimentata azione antiestrogenica (11). Gli inibitori dell’aromatasi sono anche presenti nel melograno e nel tè. Una certa attività antiaromatasi è stata dimostrata anche per la melatonina (12).


Bibliografia
1) www.endometriosi.it
2) Lim YT, Mistletoe Therapy in Persistent Endometriosis Paitents www.endometriosis.gr.jp
3) Netsu S et al, Oral eicosapentaenoic acid supplementation as possible therapy for endometriosis. Fertil Steril. 2008 Oct;90(4 Suppl):1496-502.
4) Xu H et al, Anti-angiogenic effects of green tea catechin on an experimental endometriosis mouse model. Hum Reprod. 2009 Mar;24(3):608-18.
5) Simsek M, Burak F, Taskin O. Effects of micronized purified flavonoid fraction (Daflon) on pelvic pain in women with laparoscopically diagnosed pelvic congestion syndrome: a randomized crossover trial. Clin Exp Obstet Gynecol. 2007;34(2):96-8.
6) Hernández Guerrero CA et al, Endometriosis and deficient intake of antioxidants molecules related to peripheral and peritoneal oxidative stress. Ginecol Obstet Mex. 2006 Jan;74(1):20-8.
7) Mier-Cabrera J et al, Effect of vitamins C and E supplementation on peripheral oxidative stress markers and pregnancy rate in women with endometriosis. Int J Gynaecol Obstet. 2008 Mar;100(3):252-6.
8) Agarwal A, Gupta S, Sharma RK. Role of oxidative stress in female reproduction. Reprod Biol Endocrinol. 2005 Jul 14;3:28.
9) Peterkin D, O'Grady K, Sanson-Fisher R Premenstrual symptoms in general practice patients. Prevalence and treatment. (J Reprod Med. 1997 Oct;42(10):637-46.
10) Serdar E, Aromatase and Endometriosis Semin Reprod Med 2004; 22(1): 45-50 .

11) Indole 3 Carbinol - the safer, natural Tamoxifen?
www.canceractive.com/cancer-active-page-link.aspx?n=1417.

12) Martínez-Campa C et al, Melatonin inhibits aromatase promoter expression by regulating cyclooxygenases expression and activity in breast cancer cells. Br J Cancer. 2009 Nov 3;101(9):1613-9.