martedì 31 gennaio 2012

Niente panico!


Niente panico!

Improvviso, dirompente, lascia sempre un brutto ricordo nella persona che ne viene colpita. È l’attacco di panico, oggigiorno una  patologia sempre più frequente che spesso non si limita ad una sola crisi isolata, ma sfocia in una ben più grave forma chiamata disturbo da attacchi di panico (DAP). La crisi è solitamente caratterizzata da sudorazione, vertigini, vampate di calore, tachicardia, nausea, paura folle e senza spiegazione. La spiacevole sensazione che l’attacco di panico lascia nel paziente spinge questi ad evitare le situazioni in cui la crisi si manifesta più di frequente o in cui l’imbarazzo da essa suscitato rende ancora più difficile il conviverci. Lentamente, quindi, il paziente eviterà, ad esempio, di frequentare determinati luoghi, di uscire da solo, di guidare o viaggiare sui mezzi pubblici.

In Italia, soffrono di questo disturbo soprattutto le donne tra i 15 ed i 35 anni di età in una percentuale tra lo 0,4% e l’1,5% della popolazione nazionale. Il DAP si associa spesso ad altri disturbi dell’umore, quali lefobie semplici, cioè paure irrazionali di avvenimenti che vengono associati allo scatenarsi della crisi, il suicidio, presente nelle persone affette daDAP in maniera più forte rispetto al resto della popolazione, l’abuso di sostanze, quali ansiolitici, ma anche di alcolici, che, invece di migliorare la situazione, la peggiorano, facendo entrare il paziente in un circolo vizioso, e, non da ultima, la depressione, suscitata soprattutto dal non sentirsi più autosufficiente nelle piccole azioni quotidiane, dalla perdita progressiva di interessi, dal senso di inutilità.

La terapiaTerapia comportamentale e  terapia farmacologia, spesso anche associate, rappresentano la soluzione più utilizzata per questo tipo di patologia. Solitamente, la terapia comportamentale si svolge con sedute dallo psicoterapeuta, che possono essere alternate con particolari “compiti a casa”, in cui il paziente viene indotto a riflettere sui sintomi degli attacchi di panico, riportati però ad una dimensione di normalità, in modo che egli stesso smetta di considerarli come indissolubilmente legati alla crisi. Così facendo, lo psicoterapeuta cerca di spezzare il circolo vizioso instauratosi tra sintomi, panico ed auto-limitazioni comportamentali indotte dalla paura di una nuova crisi.
La terapia farmacologica si fonda essenzialmente sulla somministrazione di farmaci specifici quali benzodiazepine, fino a qualche tempo fa regine incontrastate del trattamento farmacologico degli stati d’ansia, antidepressivi ed inibitori delle monoaminossidasi. Tutta la terapia va assolutamente effettuata sotto strettissimo controllo medico (le benzodiazepine, ad esempio, possono indurre dipendenza se l’assunzione è troppo prolungata) e scrupolosa attenzione da parte del paziente, ma i risultati sono apprezzabili.
Se sei vittima di un attacco di panico…
Innanzitutto cerca di fare mente locale sui sintomi pensando che, sebbene siano terrorizzanti, fondamentalmente non sono letali per te e che questo momento terribile passerà in fretta. Cerca di concentrarti su cose reali e su compiti estremamente semplici da portare avanti in questi momenti, in modo che la mente non aggiunga pensieri terrificanti alla situazione che stai vivendo. Se, infatti, non aggiungi immagini che ti mettono paura a quelle che già sperimenti durante la crisi, questa tende a passare più velocemente. Se dai un punto a 1 a 10 alle sensazioni paurose che vivi durante l’attacco di panico, ti accorgerai che quelle che hanno un punteggio alto durano veramente pochi istanti.
…o se sei un familiare
Se sei un familiare di un paziente che soffre di DAP, sicuramente ti troverai ad affrontare situazioni difficili ogni giorno. La tua funzione principale è quella di incoraggiare il tuo familiare e di aiutarlo a cercare un aiuto presso uno specialista. Come puoi incoraggiarlo e supportarlo? Spronalo a razionalizzare la sua paura, sii sempre prevedibile e non cercare di sorprenderlo con atti inconsueti, non incoraggiarlo ad evitare ciò che gli fa paura, ma neanche mortificarlo se non riesce a calmarsi, non trasmettergli più ansia
 di quanta ne sperimenti già durante le crisi, ma provare a tranquillizzarlo senza dirgli “Calmati”.

Fonte: Nutrizione Oncologica

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